Organizzazione mondiale della Sanità, errori da non ripetere
Covid-19, perché il virus ha dilagato in maniera così devastante. Un’indagine ha scoperto che grandi responsabilità ricadono proprio sul direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus
Articolo tratto dal Corriere della Sera – 16 maggio 2021 – di Paolo Mieli
Taiwan vanta poco più di un terzo degli abitanti che ha l’Italia (23 milioni e mezzo, contro i nostri 60 milioni). È stata colpita dal Covid più o meno negli stessi tempi in cui la pandemia si è diffusa qui da noi, all’inizio del 2020. Da allora ha però avuto un numero di contagiati quasi irrilevante rispetto a quello italiano (1.256 contro i nostri oltre 4 milioni e 150 mila) e un’assai più esigua quantità di morti (12 contro i nostri 125.000). Per mettere a paragone Taiwan e l’Italia dovremmo moltiplicare per tre i loro positivi (sarebbero un po’ meno di 4.000) e i loro defunti (salirebbero a 36). In ogni caso non si sfugge al conto finale: Taiwan ha avuto un tasso di contagio e di mortalità incredibilmente inferiore a quello italiano (e di tutti i Paesi occidentali).
Certo Taiwan è un’isola, ha imparato a premunirsi dal virus fin dai tempi della crisi Sars (2003), è dotata di grandi capacità di tracciamento, ha un sistema medico eccellente. Ma, va detto, non «gode» di un regime comunista (vale a dire di un’attitudine alla sorveglianza tipica del sistema ereditato da Mao). Eppure è riuscita a tener testa al coronavirus senza dover ricorrere ad un solo giorno di lockdown.
In un importante libro appena pubblicato, «Il pesce piccolo. Una storia di virus e segreti» (Feltrinelli), Francesco Zambon nota un dettaglio curioso: Taiwan non fa parte dell’Organizzazione mondiale della sanità; ciò nonostante era dotata di un piano per affrontare la pandemia ad ogni evidenza migliore di quello dei Paesi «coperti» dall’Oms. Zambon è quel funzionario Oms costretto un anno fa a ritirare un rapporto già approvato dai vertici dell’Organizzazione nel quale si rivelava come il piano pandemico italiano — a differenza di quello di Taiwan — non era stato aggiornato dal lontano 2006. Mai. Ranieri Guerra, direttore vicario dell’Organizzazione mondiale della sanità — responsabile, sia pure non unico, di quel mancato aggiornamento — si occupò (assieme ad Hans Kluge direttore di Oms Europa) del caso in modo da non provocare alcun dispiacere al ministro della Sanità Roberto Speranza e soprattutto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte che a fine gennaio era andato in tv a magnificare l’adeguatezza di quel piano. Come? In un battibaleno il report di Zambon è scomparso dalla circolazione; dopodiché l’autore del rapporto censurato è stato incoraggiato a lasciare l’Oms. Anche Ranieri Guerra ha, però, pagato un prezzo: per prudenza si è sentito costretto ad assentarsi dagli amati schermi televisivi attraverso i quali andava imponendosi come uno dei più solerti commentatori dell’intera vicenda Covid.
Successivamente una risoluzione dell’Assemblea mondiale della salute ha affidato a tredici personalità il compito di indagare su perché il coronavirus ha dilagato nei Paesi Oms in maniera così devastante. I tredici (come ha raccontato qualche giorno fa su queste pagine Guido Santevecchi) hanno scoperto che grandi responsabilità ricadono proprio sull’Oms. «Viviamo nel ventunesimo secolo, ma ci siamo comportati come nel Medioevo», ha denunciato la copresidente della commissione d’inchiesta, l’ex premier neozelandese Helen Clark. L’altra guida del panel dei tredici, l’ex presidentessa liberiana Ellen Johnson Sirleaf (premio Nobel per la Pace nel 2011), ha accusato i capi di governo al potere nel 2020 di non aver preso in considerazione i dossier sulle precedenti crisi sanitarie. E di non essersi sentiti in dovere di adattare, alla luce di quei dossier, i piani pandemici.
Il responsabile di questo clamoroso inciampo ha un nome e un cognome: Tedros Adhanom Ghebreyesus. Tedros fu contestatissimo ministro della salute in Etiopia dal 2005 al 2012; nel 2017, in virtù delle sue capacità di manovra, venne nominato direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità. Confermò all’istante di essere un politico abilissimo, grande tessitore di relazioni con i governi: appena elevato alla guida dell’Oms — ricorda Zambon — nominò il dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe (suo grande elettore), «Goodwill Ambassador per le malattie non trasmissibili». E — a motivare la nomina — definì lo Zimbabwe «un Paese che mette al centro delle sue politiche la copertura sanitaria universale nonché la promozione della salute, così da garantire cure sanitarie a tutti». In realtà il sullodato sistema sanitario di Mugabe era purtroppo allo sfascio e — appena lo si venne a sapere — Tedros fu costretto a ritirare alla chetichella l’onorificenza al despota.
Ma continuò ad ingraziarsi i leader dei Paesi Oms per garantire la stabilità sua e dei suoi funzionari al vertice dell’organizzazione. Fu spudoratamente corrivo con la Cina nei primi mesi della pandemia ed entrò per questo in urto con Donald Trump. Ciò che fece la sua fortuna dal momento che gli antitrumpiani del mondo intero lo perdonarono all’istante di ogni trascuratezza, assolvendo contemporaneamente se stessi da evidenti demeriti del genere di quelli denunciati da Zambon.
Adesso tutti i Paesi che hanno qualcosa da nascondere (e da farsi perdonare) in merito all’impreparazione e alla negligenza con cui hanno affrontato la pandemia, si accingono, l’anno prossimo, a rieleggere Tedros alla guida dell’Oms. E, finché Tedros resterà in sella, si può esser sicuri che gli Zambon di tutto il mondo verranno più o meno silenziosamente messi alla porta. A questo punto dobbiamo solo sperare che il virus non si ripresenti nelle attuali o sotto altre spoglie.
Nel qual caso sarebbe consigliabile aver preso, per tempo, la residenza a Taiwan. Anche se l’isola — a dispetto di una campagna per farla ammettere di Giulio Terzi e Matteo Angioli a nome del Comitato globale per lo stato di diritto «Marco Pannella» — non gode tuttora della considerazione da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità